Edited by Denise Lo Piparo, Head of ESG, Uniting
Comunicare la sostenibilità delle aziende non è un tema semplice. Indipendentemente dalle modalità e dai canali scelti servono: continuità, impegno, conoscenza approfondita dei brand e dei prodotti/servizi da parte del team di comunicazione. Oltre che consapevolezza sulle aspettative di sostenibilità da parte dei consumatori e, più in generale, degli stakeholder.
Questo perché la comunicazione deve educare alla sostenibilità tutti gli attori coinvolti, trasmettendo consapevolezza su quanto sta facendo un’azienda e cambiando tutti quegli atteggiamenti più autoreferenziali che si tendono ad avere nella comunicazione delle proprie iniziative di sostenibilità.
In questo contesto, il pericolo numero uno di un’azienda che ha la volontà di posizionarsi come sostenibile è l’ESG-Washing, in tutte le sue varianti: greenwashing, bluewashing, pinkwashing, rainbowashing, artwashing e così via. Il fenomeno dell’ESG-Washing non è semplicemente il tentativo di ingannare intenzionalmente il consumatore, ma avviene tutte le volte che l’impresa comunica informazioni o azioni, compiute in ambiti ambientali o sociali, sovra enfatizzando il reale beneficio per la collettività.
L’ESG-Washing non fa quindi differenza tra chi comunica in modo consapevolmente fuorviante e chi lo fa inconsapevolmente; la legislazione tutela infatti il consumatore a prescindere dal fatto che i claim – dichiarazioni che l’azienda fa relativamente ai propri prodotti, alla propria azienda, alle proprie
performance di sostenibilità – ingannevoli, siano stati enunciati in intenzionalmente o meno.
Cos’è sostenibile? Nuove regole in vigore dal 2026 in Italia
In questi anni di vacuum legislativo ognuno si è creato la propria sua definizione di cos’è sostenibile. Tuttavia, con la nuova direttiva europea – che diventerà operativa per la legislazione italiana entro il 2026 – non potranno più esistere affermazioni che dicono “la mia proposta è totalmente sostenibile“ o “a impatto climatico zero”. Sarà consentito l’utilizzo di questi termini soltanto se accompagnati da claim più specifici, in grado di dimostrare veramente se un beneficio ambientale o sociale sia tale da considerare quel prodotto/servizio come più sostenibile di altri presenti sul mercato.
In sostanza, con la nuova normativa tutte le aziende (di tutti i settori) saranno chiamate a fare uno step back di comunicazione relativo a quello che un’azienda sta attuando in ambito di sostenibilità. Le indicazioni saranno quelle di usare degli standard, valevoli per tutti, per definire cosa si possa raccontare e come si possa dare il livello di trasparenza necessario per porre il mercato nelle condizioni di fare delle scelte consapevoli.
Imparare a non abusare della parola sostenibilità
Il tema è cruciale. Il rischio che un’azienda corre di essere accusata di ESG-Washing non deve portare a smettere di comunicare le proprie iniziative (secondo gli ultimi report, infatti, 1 impresa Europea su 3 ha fatto green hushing non rendendo noti i propri sforzi per la sostenibilità. Rapporto che sale a 1 su 4 nel caso di imprese italiane) ma semplicemente imparare a dare più peso alle parole, specificando il senso
dell’abusata parola sostenibilità.
Secondo un report della Comissione Europea, circa il 40% dei green claim è privo di basi scientifiche e non sono veritieri. Per evitare di ricadere in quel 40%, vengono in aiuto i requisiti della ISO 17033 per i claim etici, una norma che insegna come comunicare bene la sostenibilità e cioè in modo: preciso, accurato, pertinente, non fuorviante e verificabile (attraverso evidenze oggettive, analisi del rischio, etc).
È una norma interessante poichè consente di avere una certificazione da un ente terzo attraverso la verifica – di quanto fatto in passato – e la validazione – di impegni presi per il futuro – del claim.
Le nuove sfide per gli addetti ai lavori del mondo della comunicazione e della pubblicità
- Concentrarsi sulle esigenze degli stakeholder: cosa l’azienda si aspetta dagli stakeholder e cosa gli stakeholder si aspettano dall’azienda. Andremo verso una comunicazione che coglie la radice latina del termine “mettere in comune”, questo è l’aspetto interessante della condivisione delle esigenze.
- Dare alla creatività anche una base di dati, una sorta di fascicolo tecnico che permette non solo dire che quel claim è bello, coinvolgente, accattivante, ma è anche verificato e validabile, gestendo così i rischi di ESG-Washing.
- Imparare ad utilizzare un linguaggio che, oltre a rispettare i requisiti visti fino ad ora, consenta di migliorare la comprensione di cosa significa essere un’azienda veramente sostenibile per un pubblico eterogeneo e con diversi livelli di conoscenza e di consapevolezza.